Saranno anche le regole, saranno anche le norme; decidano i lettori dell’uno e dell’altro luogo, e sia ben chiaro che – in ragione dello stato dell’arte – nulla è contestabile alle autorità, né a quelle italiane né a quelle elvetiche. Presta tuttavia fianco ad un grave paradosso quanto occorso ieri sui cinque chilometri – passo più, passo meno – che separano la Questura di Como dal confine in frazione Ponte Chiasso, punto quest’ultimo in cui agenti della Polcantonale hanno prelevato due tizi, entrambi marocchini, per riaccompagnarli in idoneo Centro richiedenti l’asilo ché quali asilanti – o da sedicenti aventi diritto alla protezione internazionale – essi si erano presentati in Svizzera, salvo riattraversare a qualche punto di valico o su diverso percorso giusto il tempo per delinquere. E delinquere a ciclo completo: nello spazio di poche ore, intimidazione e minacce e furto aggravato (che sta sulla soglia della rapina, per intenderci) nel prelievo indebito dello “Smartphone” di una ragazza, indi resistenza a pubblico ufficiale, indi oltraggio a pubblico ufficiale; dal che le manette ed il trattamento in aula con la condanna per direttissima. In carcere, si immaginerebbe, la tappa successiva; a verdetto pronunciato, invece, la remissione in libertà.
E qui, come si suol dire, il problema del pacco. Che per l’Italia è da restituirsi alla Svizzera, proprio in ragione delle verifiche esperite sul conto dei due soggetti quali asilanti; e che la Svizzera, benché trattisi di criminali acclarati, è stata obbligata a riprendersi. Morale: gli agenti della Polizia italiana di frontiera, d’intesa con gli specialisti dell’Ufficio immigrazione alla Questura di Como, si sono presentati con i due marocchini, ed a Ponte Chiasso ha avuto luogo la consegna ai colleghi della Polcantonale. Circuito chiuso: arrivati, usciti, giustamente non tollerati in casa altrui, rientrati qui e senza nemmen che li si possa definire “persone non grate”.